Dott. Andrea CANTELMI Chinesiologo
(ptandrea_at_gmail_dot_com)
Proveniente dalla cultura dell’aerobica americana, lo stretching è
approdato in Europa e in Italia seguendo il percorso tipico delle
mode, l’etimologia della parola deriva dall’inglese “to stretch”
che in italiano significa allungamento.
Inventato da Bob Anderson, esso consiste nel portare lentamente al
limite del campo di allungamento il muscolo o le aree muscolari
interessate.
Da alcuni decenni è entrato a far parte di tutti i programmi di
allenamento, sia per sport di potenza che per sport di resistenza,
prima, durante e dopo la prestazione. Negli ultimi tempi però molte
evidenze scientifiche sono contraddittorie alla didattica
internazionale sul tema riguardante una branca dello stretching
quello “statico”.
Diversi articoli pubblicati sulla più autorevole rivista
scientifica sulla ricerca nelle Attività Motorie, ovvero Scuola
dello Sport CONI, mette in evidenza alcune ricerche provenienti
dalle maggiori Università Europee. Gli studi si riferiscono alle
discipline di forza e potenza, quindi non è attendibile nelle
discipline di resistenza e nelle discipline in cui è richiesta una
grande escursione articolare (danza, arti marziali, ginnastica).
Vengono disattesi alcuni influssi benefici che lo stretching ha
sull’organismo, ciò non significa che d’ora in avanti si debbano
ripudiare in blocco gli esercizi di allungamento. Diversi studi
hanno riscontrato la diminuzione del salto in alto verticale dopo
avere eseguito esercizi di riscaldamento con allungamento.
Alcuni autori spiegano l’effetto negativo dello stretching sulla
performance, (quando viene eseguito prima del riscaldamento) dando
un nome a questo fenomeno ovvero “creeping”, in pratica durante un
esercizio di stiramento ampio e prolungato il tendine si allunga,
ciò dispone le fibre in allineamento, mentre esse solitamente hanno
un orientamento obliquo, si spiegherebbe così il guadagno in
allungamento, che tuttavia si accompagna ad una minore capacità di
immagazzinare energia elastica.
Per quanto riguarda lo stretching utilizzato per prevenire i
traumi, alcuni autori hanno dimostrato che gli stiramenti passivi
sottopongono i muscoli interessati a tensioni equivalenti a
tensioni muscolari massimali, le strutture elastiche passive del
sarcomero (titina) sono molto sollecitate e aumenta la possibilità
che subiscano dei microtraumi, si ritiene che ciò costituisca un
rischio per la gara.
Infine si utilizza molto lo stretching dopo l’allenamento per
“defaticare” il muscolo, ma anche su questo aspetto alcune ricerche
sono contraddittorie, difatti è emerso che, “gli stiramenti di tipo
statico comprimendo i capillari, ostacolano l’afflusso di sangue e
ciò comporta una diminuzione della rigenerazione proprio nei
muscoli che più necessitano di recupero”.